ANNA PONTEL
Nata nel 1974 a Gorizia Diplomata presso l’Accademia di
Belle Arti di Venezia Vive e lavora a Udine |
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Dalla Barbie ai Pokemon,
l’origine del lavoro di Anna Pontel sembra ineludibilmente legato al mondo
dei giochi e dell’infanzia. Parte da un consumo diretto, dalla propria
esperienza per quanto riguarda la Barbie, ed approda ora con i mostriciattoli
made in Japan ad un consumo più recente, dei bambini d’oggi, anche se il
trend dei Pokemon sembra aver già valicato l’apice della domanda - nel regno
dilatato del business - avviandosi ad un rapido declino. Mode transeunti,
abilmente pilotate da un complesso apparato pubblicitario e commerciale, che
fanno nascere il bisogno di un oggetto non indispensabile, per renderlo
necessario segnale di riconoscimento, di appartenenza anche nel mondo dei
bambini. Anna
Pontel da tempo ormai fruga ed analizza questa produzione, lucida e
seducente, del giocattolo, avendo privilegiato, con la Barbie, il suo
smisurato guardaroba, scivolando quindi nel regno scintillante della moda,
governato tuttavia da ferree leggi di mercato. Gli abiti della Barbie si sono
fatti sculture dalle dimensioni abnormi, giganti fuori scala, per lo più di
carta velina e filo di ferro, ironizzando, col potere dell’invenzione, su di un
prodotto che ha invaso il pianeta, adattandosi ai gusti e ai costumi dei
popoli più disparati, per favorirne la diffusione. Abiti accessoriati, set
completi di cappelli, scarpe, ombrelli - secondo gli schemi prestabiliti
dalla produzione Barbie, a loro volta costruiti su pattern della moda
adulta – diventano ripetizione di una realtà omologatrice e globalizzata –
lungo i percorsi dell’industria e del commercio mondiale. Ripetizione
intenzionale e spiazzante perché resa con materiali altri, fragili, artificiali
– Barbie au crochet è
costituita da una serie di svariati indumenti realizzati all’uncinetto con
fili di carta velina arrotolata - perché alterata nelle dimensioni, sì da
rendere l’abito impraticabile, traslato nel campo della pura visualità, e
perché mostrata non in uno store di consumo, ma in una galleria
d’arte. La libertà dunque della trasformazione per un prodotto troppo
consumato, consentendo al gioco dell’arte di insinuarsi nel rigido schema del
gioco prodotto dalla catena di montaggio. Anche i
Pokemon, all’origine mostriciattoli dalle dimensioni ridotte, imbottiti di
gomma piuma, nella rielaborazione della Pontel, e rivestiti da madreperlacei
tessuti sintetici, assumono nuove, più ingombranti dimensioni. “Non riesco
più a guardarmi nello specchio, ci vedo un mostro”, recita il loro titolo
e riconduce con provocazione alla matrice progettuale, dall’estremo Oriente,
che ha partorito una sottospecie di creature inaccettabili, nell’accezione
proposta dall’artista, perfino a loro stessi. Maria Campitelli (testo
critico dal catalogo della mostra) |
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